Sei un over 55? Il marketing se ne frega di te

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Domanda seria: qual è l’ultima volta che avete visto un over 55 anni in uno spot decente? Il mondo della pubblicità per gli anziani paventa un inferno pieno di malattie, pastiglie per la disfunzione erettile e case di riposo.

Di Cesar Eriquez Moran per il sito di Forbes México, www.forbes.com.mx

Tradotto per A.L.I.

Analizzate la pubblicità che passa in prima serata o sui siti più frequentati e ditemi quanti over 55 ci trovate; se un extraterrestre arrivasse da noi e dovesse fidarsi solo della pubblicità penserebbe che siamo una società di soli giovani.

Sembra che i senior non lavorino, non bevano birra, non guidino auto, non usino computer, in pratica, non esistano.

Secondo il Gruppo Havas, grande corporation francese di pubblicità e acquisto media, solo il 5% della pubblicità è indirizzata a un pubblico cinquantenne o più.

Entro il 2030, secondo un articolo della rivista inglese specializzata “The Lancet”, l’aspettativa di vita sarà di 90 anni (sempre che lasciamo sopravvivere il pianeta). E allora, perché il marketing si rivolge solo ai Millennials e ai Centennials che hanno, tra l’altro, meno potere di acquisto della Generazione X o dei Baby Boomers?

In Messico, 1 cittadino su 4 ha più di 50 anni e la speranza di vita attuale è di 78 ani. Se escludiamo tutti quelli che hanno meno di 18 anni (il 18% della popolazione messicana di 120 milioni di individui), scopriamo che gli over 50 sono quasi la metà della popolazione e quelli con maggior potere di acquisto. Basta guardare alla squadra dell’attuale governo per rendersi conto che l’età media è di 60 anni, con Manuel Barlett, 83 anni, ad occuparsi del futuro dell’approvvigionamento elettrico del paese.

Come spiegare allora il disinteresse del marketing per questo segmento della popolazione così rilevante per i consumi nazionali?

Le principali marche di largo consumo hanno mostrato nel corso degli una specie di ossessione per l’età anagrafica. I consumaatori si segmentano ancora per fasce di età: 18-34, 35-50, over 55, come se i nostri modelli di acquisto, di motivazione e di stile di vita fossero omogenei e si basassero principalmente su quanti anni di vita abbiamo alle spalle.

Le tappe della vita e le età si sono definitivamente scollegati con l’ultima generazione, con appuntamenti chiave della vita come la formazione e la pensione liberi da restrizioni anagrafiche. Per non dire che mio fratello, 55 anni, tutt’altro che caso unico, ha appena avuto una bimba.

I confini demografici che abbiamo creato fino a qui costituiscono una barriera alla comprensione delle persone a un livello più profondo.

Uno studio del 2018 realizzato da McCann (agenzia di pubblicità multinazionale) e The Paley Center for Media, ha interrogato persone di tutte le età chiedendo quando si è, secondo loro, troppo vecchi per fare cose come tornare a studiare, aprire un’attività in proprio, innamorarsi o andare a un appuntamento galante. Un’impressionante maggioranza degli intervistati ha risposto che “non si è mai troppo vecchi per nessuna di queste cose”, mettendo chiaramente in dubbio il ruolo dell’età quale indicatore attendibile delle abitudini dei consumatori.

Ciò nonostante la maggior parte degli inserzionisti pubblicitari continuano a vedere la prossima generazione come la più elettrizzante, come la Generazione Z o i Centennials. Saranno nuovi, diversi, ma i loro standard di reddito non sono ancora completamente formati perché sono da poco entrati nella tappa produttiva della loro vita. E già si parla della generazione successiva che non ha ancora imparato a parlare.

Quando nel 2015 gli hanno chiesto di commentare la strategia marketing del Super Bowl adottata da AB InBev (una delle più grandi multinazionali di birra al mondo), il vicepresidente e responsabile marketing strategico globale dell’azienda, John Socquet, disse “Stiamo adottando un tono di voce diverso, più giovane, più scanzonato. Un cambiamento notevole di strategia”. Come se di colpo fosse diventato antiquato o noioso rivolgersi agli adulti, che sono quelli che consumano con maggior senso di responsabilità.

La campagna pubblicitaria di Tiffany del 2018 “Believe in dreams”(credi nei sogni) usava il volto di Elle Fanning (ventenne all’epoca). Davvero i ventenni sono i consumatori di riferimento per i gioielli di Tiffany? Oppure gli esperti pensano che questo profilo sia aspirazionale per il vero target di Tiffany quello che ha i soldi per permettersi i suoi articoli?

E cosa dire degli annunci di lavoro, quanti sono quelli che si rivolgono agli over 50? Domandiamoci se a lungo termine è meglio assumere un lavoratore senza esperienza a poco prezzo o uno con esperienza ma più costoso…


Euromonitor dice che il 70% del reddito negli Stati Uniti è nelle mani degli over 55 e, a livello mondiale, gli over 60 nel 2020 rappresenteranno un potere di acquisto di 15.000 milioni di dollari. Qualunque esperto di marketing mediamente intelligente vedrebbe nel cosiddetto “Silver Marketing” (o longevity marketing) una grande opportunità, eppure non è così.

Credo che concentrarsi sulle fasce di età sia un errore. Lo studio di McCann del 2018 “La verdad sobre la edad” (la verità sull’età) scopriva che tutti pensiamo all’invecchiamento: i ventenni hanno paura di morire e i trentenni di diventare vecchi, mentre i settantenni se ne preoccupano molto meno.

Lo studio arriva a suggerire che gli esperti di marketing dovrebbero fare il passo dalle fasce di età alla segmentazione attitudinale. Invece dei cluster per età, potrebbero prendere in esame, sempre secondo lo studio, 5 attitudini diverse:

  • avventurieri senza età
  • individui che si preoccupano della comunità o di chi gli sta intorno
  • adulti che si aggiornano
  • quelli che rincorrono la giovinezza
  • quelli che hanno paura del futuro.

Il mio desiderio utopico come uomo di marketing è che le generazioni interagiscano meglio e di più, un po’ più che tollerarsi rispettivamente, che entrino in contatto in profondità per decidere su temi seri, non per eleggere la miglior crema idratante del futuro.

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