La rilevanza per l’Italia della silver economy e della longevity

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Stefano Marotta di Insurzine, intervista Emanuela Notari

Dopo aver lavorato a lungo nel settore della pubblicità, raggiungendo posizioni apicali, da svariati anni Emanuela Notari si è imposta, con una linea caratterizzata da personalità ed originalità, nel mondo dell’editoria finanziaria e patrimoniale, nei ruoli di direttore editoriale, contributor ed autrice.

Negli ultimi anni, si è concentrata sui temi della longevità, co-fondando A.L.I., acronimo di Active Longevity Institute, think tank e primo osservatorio italiano sull’invecchiamento della popolazione e consulente di mercato alle imprese che si rivolgono a questo target.

Stando ai dati del 2019, l’Italia è il paese più longevo d’Europa e, insieme alla Francia, detiene il record degli ultracentenari. È per questo motivo che ha lanciato A.L.I.? 

L’Italia è il paese più vecchio in Europa e il più vecchio al mondo insieme con il Giappone. Ma l’invecchiamento della popolazione interessa quasi tutti i Paesi più sviluppati. È una questione di aumentata aspettativa di vita dovuta al progresso medico scientifico e alle migliori condizioni di vita – oggi in Italia l’aspettativa media è di 83 anni, quasi 40 anni in più di un secolo fa. Ma è anche una questione di crollo delle nascite, conseguenza del benessere e dell’emancipazione femminile, e della convergenza verso l’età cosiddetta anziana della generazione più numerosa della Storia, i Baby Boomers. Stiamo vivendo una transizione demografica dal modello classico a piramide, con tanti bambini alla base e pochi anziani in cima, a quello delle società moderne sviluppate che inverte i rapporti: pochissimi bambini e tanti anziani. Un fenomeno mondiale che interessa soprattutto il nostro Paese che, pure, stenta a rendersi conto di essere protagonista di un profondo cambiamento della società. Per questo abbiamo fondato A.L.I. Active Longevity Institute, Osservatorio sulla longevità che si è prima di tutto prefisso di fare cultura su un nuovo concetto di vecchiaia; in seguito abbiamo costituito un nostro panel di over 55 che siamo in grado di ascoltare su temi e trend specifici, a supporto della nostra offerta di consulenza alle imprese che intendono rivolgersi ai senior italiani.

Quanta consapevolezza c’è nel nostro paese riguardo all’impatto della longevità ed al mercato della silver economy? Quanto è personalizzata e dedicata agli over 65 l’offerta assicurativa e quella di prodotti finanziari? Esiste, anche alla luce della pandemia, la necessità di re-ingegnerizzare velocemente i prodotti ed i servizi rivolti agli over 65? Previdenza complementare, ltc, assistenza e polizze sanitarie, prodotti di accumulo classici, sono ancora adeguati ed aggiornati in merito alla emergente silver economy ed ai bisogni della longevity? 

Solo adesso comincia ad esserci una certa consapevolezza del fenomeno Longevity in Italia. Magari non ancora radicata tra la popolazione, che continua a considerare una peculiarità della propria famiglia avere anziani longevi nel proprio nucleo, quando basterebbe guardarsi attorno per capire che non è affatto un’eccezione fortunata. Ma alcune istituzioni e alcune aziende più illuminate hanno percepito il cambiamento. Il mercato bancario e assicurativo, in particolare, deve prestare grande attenzione alla propria clientela senior che ha tutte le risorse economiche per costituire un target privilegiato. A gennaio di quest’anno con We Wealth abbiamo organizzato il primo forum sulla Consulenza della Longevità, un tema già maturo negli USA dove ne hanno fatto l’evoluzione della consulenza finanziaria, e il numero di partecipanti in diretta e in streaming è stato sorprendente. L’interesse personale dei consulenti c’è, perché sono loro ad essere in contatto diretto con una clientela sempre più anziana; solo va istituzionalizzato in un modo nuovo di guardare alla pianificazione finanziaria in senso di guida al percorso di longevità e messo a terra con una serie di prodotti e servizi pensati per andare incontro alle esigenze e aspettative dei senior. Che vuol dire i senior di oggi, ma anche tutti quelli di domani perché la longevità resta un trend certo e in aumento. Sempre più i roboadvisor si occuperanno di gestione finanziaria pura mentre ai consulenti sarà demandato il ruolo – più complesso e fortemente empatico – di aiutare la propria clientela a immaginare come vuole invecchiare, quanto costa mantenere il proprio tenore di vita per 25/30 anni dalla pensione, quale gap di reddito eventualmente si presenta e come colmarlo. Ma anche dove vivere la propria vecchiaia. L’attuale residenza sarà ancora adeguata-confortevole-sicura a 80 o 90 anni? Conviene vendere e cercarne una più adatta o magari pensare a trasferirsi in un senior living come quelli che stanno aprendo anche in Italia? E poi tutte le tematiche legate all’invecchiamento, all’eventuale futura non autosufficienza, alla successione. Tutti temi che erano spinosi da trattare fino a un anno fa ma che la pandemia, dando prova della nostra vulnerabilità, ha portato in primo piano ed esposto alla conversazione con un consulente di fiducia. Il mercato della silver economy oggi è stimato in 200 miliardi di euro in Italia ma può solo crescere se le aziende capiranno che gli over 65 hanno voglia di continuare a vivere bene, in modo confortevole e sicuro, e hanno le risorse economiche per farlo. Primo tra tutti i mercati, quello finanziario. Spero non si perda altro tempo, sia per il benessere dei longevi, sia per la ripresa dell’economia del Paese. Abbiamo bisogno di riaccendere i motori e qui ce n’è uno pronto che ha solo bisogno che qualcuno giri la chiave.

Longevity come necessità sociale oltre che scelta etica. Secondo Il World Happiness report 2020 (Italia al 30* posto della classifica mondiale), la felicità di una nazione è strettamente correlata al sostegno che le persone danno le une alle altre ed alla reciproca generosità. Se ci facciamo caso, non è altro che ribadire l’importanza del mito di Filemone e Bauci, il più bel racconto della Mitologia Classica. Istat prevede che nel 2030 (dati da patrimonia e consulenza) 4,5 milioni di italiani over 65 vivranno da soli (1,2 sopra gli 85). Il problema, malgrado i momentanei mutamenti provocati dal virus che ha purtroppo falcidiato la popolazione over 80, sussiste in una ottica dl lungo periodo. Quale potrebbe secondo lei essere la politica economica della longevity, che possa favorire la convivenza ed il reciproco aiuto tra persone sole? Penso al social housing ed al cohousing, come anche ai patti di convivenza tra persone dello stesso sesso (come ad esempio fratelli).

All’inizio di questa pandemia, a marzo del 2020, l’associazione over 65 = vecchio = fragile era imperante. Poi, un virus che ha preso di mira gli ottantenni ha mostrato che non è proprio così, che erroneamente tendiamo a mettere nella stessa categoria persone di 65 anni e persone di 80, molto diverse sia per abitudini e attitudini di vita sia per condizioni fisiche. Questo è il primo cambiamento positivo che nasce dal dolore della pandemia. Riconoscere i senior, capire chi sono, guardarli in faccia come individui e non come una categoria demografica. Un altro cambiamento dovuto alla pandemia è certamente una revisione del nostro modo di vivere e lavorare. Quando l’emergenza finirà, parte dello smart working sarà riconvertito in lavoro in presenza ma ormai non credo che si tornerà più indietro alle 8 ore in ufficio, tutti i giorni, per tutti. Questo aiuterà anche a immaginare come i lavoratori più anziani possano lavorare più a lungo in una dimensione flessibile e vivibile, soprattutto nel mercato dei servizi. D’altronde il sistema previdenziale non può continuare a pagare pensioni dai 65 ai 90 e più anni. Si deve trovare un modo per aggiornare le competenze dei lavoratori e aiutarli a continuare a lavorare per qualche anno in più dopo l’età pensionabile, almeno nei casi in cui i lavori non siano usuranti e/o consentano la prestazione da remoto o flessibile. Con incentivi e accordi tra pubblico e privato, che prevedano, per esempio, un’occupazione parziale a fronte di una remunerazione parziale da parte dell’azienda e una parte dell’assegno pensionistico da parte dello Stato. “Work is the new retirement for many”, dice Joe Coughlin, direttore dell’AgeLab dell’MIT di Boston. Questo diverso modo di lavorare ha portato a ripensare anche alle città e a come le abbiamo vissute fino a ieri, praticamente come dormitori costosissimi. La disponibilità di edifici che non torneranno mai ad essere di soli uffici a tempo pieno nelle città sta richiamando investitori anche stranieri che propongono formule nuove di co-housing: condomini dove, accanto ad appartamenti privati smart ed energeticamente sostenibili, si possano condividere una serie di servizi comuni. Ma anche formule miste di co-housing verticali, come quelli studenteschi con postazioni di smart working, oppure orizzontali, intergenerazionali. Anche l’approdo al nostro Paese di catene di senior housing che nulla hanno a che vedere con le vecchie case per anziani consente di ripensare l’invecchiamento: la maggior parte del nostro patrimonio immobiliare è vetusto e quella parte è spesso di proprietà di over 65. Energeticamente inefficiente, troppo grande per uno o due residenti anziani (il 30% degli over 65 vive da solo), spesso fonte di cadute e incidenti domestici che possono seriamente pregiudicare la vita nella fase più estrema della longevità. Questa grande crisi ha rimesso in discussione i criteri di vita e di lavoro che ci hanno governati fino a qui. E per la prima volta il Paese ha risorse da investire, velocemente e bene. Speriamo di superare questa prova nel migliore dei modi. Per la nostra reputazione in Europa e nel mondo, ma anche per migliorare i criteri di vivibilità di questa società. Per essere più inclusivi. E per comprendere, una volta per tutte, che tanti anziani non rappresentano solo un aumento dei costi previdenziali e sanitari, ma una risorsa culturale, esperienziale, di memoria e di esempio. Sta a noi bilanciare i costi con le opportunità, o resteranno solo i costi.

Baby boomers, Millenials e Generation Z: sente la necessità di nuovo patto intergenerazionale e di un conseguente nuovo quadro legislativo che possa permettere ai nonni di aiutare i nipoti in oggettiva difficoltà tramite il trasferimento di patrimoni? 

Una recente ricerca condotta da STEP Project Global Consortium e KPMG Private Enterprise in 75 paesi ha mostrato che le imprese familiari reagiscono meglio delle non familiari alla crisi indotta dal Covid 19. Non solo perché la dimensione le rende più flessibili e più reattive, ma anche per via di quel collante familiare che prospetta, insieme agli obiettivi finanziari di impresa, anche obiettivi non finanziari di prosecuzione e trasferimento alle generazioni successive di un progetto familiare. I report finanziari trimestrali hanno penalizzato la profondità di visione delle grandi aziende. Dovrebbe essere ovvio che non si può fare impresa in un modo efficace e sostenibile con un respiro così corto. Le aziende familiari funzionano meglio perché guardano oltre il proprio naso, almeno fino a dove arriva quello dei nipoti, che è già un grande vantaggio rispetto al trimestre. Ma il report sottolineava anche come sia stato d’esempio e di sprone l’atteggiamento delle generazioni più anziane, le quali non sono andate nel panico durante la pandemia perché avevano vissuto, direttamente o indirettamente attraverso i propri genitori, la guerra, la prigionia, e altre crisi o pandemie ben più terribili. Questo ha in qualche modo infuso una maggiore tranquillità ai discendenti. Quando si parla di lasciti e di eredità, dovremmo ricordare anche l’eredità non finanziaria dei nostri anziani. Senza dimenticare che il 50% di loro, secondo i dai, sostiene anche economicamente le famiglie dei figli. Praticamente un anticipo di eredità.

Il nostro magazine si occupa, come sa, di rivoluzione tecnologica nel mondo assicurativo, vista come opportunità epocale per rinnovare dalle fondamenta il mercato assicurativo e rendere possibile ad un pubblico molto più vasto la copertura di bisogni assicurativi e di rischi che nel nostro paese sono ancora molto sotto assicurati, come il rischio sopravvivenza o, nel ramo danni, il rischio catastrofale o la semplice assicurazione abitazione a tutela del patrimonio. In questo senso, quali conseguenze positive ed evoluzione potrebbe avere la convergenza tra rischio sopravvivenza e insurtech?

Come si sa il longevity risk, ovvero il rischio di sopravvivere ai propri risparmi, è il rischio maggiore della longevità, specie una volta che le riforme previdenziali saranno a regime e gli assegni pensionistici molto inferiori rispetto al passato che, erroneamente, costituisce ancora il nostro immaginario contribuendo a falsare le aspettative. Si calcola che con il sistema di calcolo contributivo pieno la pensione di un dipendente sarà pari al 60%, rispetto all’attuale 80%, dell’ultimo reddito e per un autonomo anche il 40-50%. Quanti potranno mantenere il tenore di vita cui ci si è abituati nella vita lavorativa con una pensione che rappresenta il due terzi o la metà del vecchio reddito da lavoro? A quel punto, la disponibilità di risparmi (o di redditi integrativi) sarà fondamentale.
Quindi prima di tutto un rischio finanziario, cui si associano rischi di non autosufficienza, di necessità di assistenza continuativa, di residenzialità e sicurezza domestica, ecc. Io non sono un’esperta assicurativa, ma nella flessibilità delle assicurazioni a tempo, nelle soluzioni di insurtech (e fintech) e in tutto quanto ammoderni un comparto che soffre la lentezza dei giganti trovo motivo di speranza per il meglio. Piuttosto invito voi e tutti i media che se ne occupano a declinare il concetto di insurtech (e fintech) in esempi concreti di convenienza o praticità per la gente comune, soprattutto per i senior, affinché tutti possano comprendere la direzione assunta dal comparto. Altrimenti resta un po’ come la domotica, di cui tutti parliamo ma, al di là di un interruttore per le luci o di un variatore di temperatura centralizzato, non sappiamo dire.

Longevity e sostenibilità. Nella mia esperienza personale, ho ancora un padre che ad 85 anni di età è ancora in piena attività professionale, autonomo, che sostiene i figli ed i nipoti. Cito questo esempio per sottolineare in senso positivo che, inconsapevolmente, dal punto di vista della salute e quindi anche della longevità (non della felicità, dove per quanto ribadito prima ci sono ampi spazi di miglioramento) il nostro paese è ai vertici mondiali (cfr. l’indice multidimensionale Bloomberg’s Global Health Index, che per molto tempo ci ha considerato primi al mondo ed oggi stabilmente secondi dopo la Spagna).  Quali strumenti, finanziari ma anche fiscali possono, secondo lei, coniugare longevity e sostenibilità, favorendo e rinforzando una partecipazione alla vita attiva degli over 65?

Credo che dovremmo inventare qualcosa che sia l’esatto opposto di Quota 100, che riserverei solo ai lavori usuranti o a lavoratori fragili. Il resto di noi deve essere incentivato a lavorare più a lungo, a trovare nelle proprie competenze quelle che potrebbero servire a crearsi una seconda o terza carriera in età matura, una volta sdoganati i figli alla vita adulta, o a intraprendere un lavoro in proprio che stava nel cassetto da tempo. Modi per aggiornarsi e per creare nuove skills continuamente. Il pensionamento del 900 serviva a dare un po’ di riposo ai lavoratori usurati da lavori pesanti o alienanti. Il senso dell’avvento dell’intelligenza artificiale deve essere di trasferire alle macchine i lavori manuali e all’IA quelli di computazione avanzata, riservando all’uomo la possibilità di lavorare senza ammazzarsi di fatica, ma trovando nel lavoro fonte continua di miglioramento, durante tutta la vita. Io ci credo. So che è possibile, ma occorre un disegno. Non si può andare in pensione a 65 anni e dar da mangiare ai piccioni al parco per i successivi 20, a spese dello Stato o con il gruzzolo insufficiente che si è messo da parte in una vita di contribuzione. L’inattività porta all’isolamento, soprattutto gli uomini che per loro natura sono meno disponibili ad avere interessi fuori dal lavoro e dalla famiglia, come invece capita alle donne. L’isolamento porta al decadimento cognitivo, il quale porta a fragilità fisica. Bisogna continuare a sentirsi vivi per continuare a vivere. Oggi a Londra campeggia una campagna affissione dedicata al sesso dei longevi. Perché no? Perché il concetto di vecchiaia è rimasto lo stesso di un secolo fa, nonostante nel frattempo la vecchiaia abbia cambiato connotati. Lavoro, volontariato, vita sociale. Nelle città si devono creare spazi pedonali da condividere, come sta succedendo in molte zone a Milano. I condomini devono offrire spazi comuni dove socializzare e condividere. Le aziende dovrebbero pensare a programmi di tutoring per trasferire le competenze dei senior ai giovani e viceversa. Si dice che nel 2024 avremo un milione di nuovi pensionati per via dell’arrivo all’età pensionistica di un milione di baby boomers tutti insieme. Le aziende hanno pensato che rischiano di pensionare con i lavoratori anche la propria cultura aziendale e le proprie competenze? Hanno idea che se non fanno niente rischiano di coltivare una forza lavoro a compartimenti stagni: i giovani che sanno tutto delle nuove tecnologie e i senior che sanno come funzionano le dinamiche aziendali, come si fidelizza un cliente o si crea un rapporto di reciproca fiducia con un fornitore?

Come può la longevity migliorare la qualità della vita degli over 65? Mi rifaccio ad post di Mimmo De Masi, che condivido in pieno e riassumo in: “si vive più a lungo (per il momento) ma si vive peggio”.

La silver economy è il boom di oggi e dei prossimi anni. Molto si investirà in assistenza domiciliare, telemedicina, residenzialità senior, medicina molecolare e antiaging. L’intelligenza artificiale servirà ad analizzare in tempi record quantità impensabili di dati per fornire soluzioni avanzate, i ricercatori individueranno nuove terapie e trattamenti preventivi, e le persone potranno dedicarsi alla relazione, anche nella sanità, sempre con l’obiettivo di rendere possibile una vecchiaia migliore perché se in un secolo abbiamo guadagnato 40 anni di vita, non sono altrettanti gli anni di vita di qualità. Più a lungo si vive, più si è esposti a inevitabili fragilità, co-morbilità, cronicizzazione di patologie preesistenti. Il problema riguarda soprattutto le donne che vivono mediamente 5 anni più degli uomini (oggi l’aspettativa di vita femminile è 86 anni e per metà secolo sarà oltre 90) e quindi vivono in condizioni peggiori. Materia per le polizze LTC ma anche per la consulenza patrimoniale, che deve usare la tecnologia disponibile per disegnare scenari diversi a seconda del mutare delle condizioni del cliente e la propria empatia per aiutarlo ad assorbire anche le ipotesi meno lusinghiere, con l’obiettivo di tutelarsi. Certo la prevenzione non è facile in un paese tendenzialmente fatalista come il nostro, ma anche in questo forse la pandemia ha già cambiato la sensibilità generale. Materia per assicurazioni e player bancari, per l’assistenza a domicilio e per le nuove concezioni di co-living e senior living, per un design industriale inclusivo e un design di interni più attento alle esigenze dei senior, anche per una comunicazione capace di rappresentarli in un modo più aderente alla realtà, lontano dagli opposti stereotipi della vecchietta suonata o ridicolmente giovanilistica e sopra le righe. Ma materia anche per gli amministratori: il combinato disposto di redditi pensionistici sempre più bassi e longevità sempre maggiore rischia di essere una bomba sociale se non gestita in modo intelligente.

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