Le residenze senior del futuro esistono già

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La longevità inedita che caratterizzerà questo secolo, impone una riflessione su come facilitare la permanenza dei senior nelle proprie case e su come ripensare le residenze protette.

Intervista a Nicola Palmarini, direttore dell’ UK National Innovation Centre for Ageing

Nicola Palmarini

Il corona virus ha fatto strage di anziani nelle RSA e nelle case di riposo. In queste strutture ci si finisce a causa di una malattia che pregiudica l’autonomia oppure perché la vita da soli in casa propria è diventata insostenibile.

In molti paesi europei e negli USA, che da anni dibattono i temi dell’invecchiamento della popolazione, viene fortemente promosso quello che in inglese si chiama aging-in-place, cioè invecchiare a casa propria o in una casa scelta appunto per la vecchiaia. E’ infatti provato che chi riesce a restare nella propria casa, con i propri ricordi e i propri affetti o vicini, ha un decadimento fisico e cognitivo inferiore, in altre parole invecchia meglio. Senza dire dell’abbattimento dei costi sociali.

Ma perché ciò sia possibile occorre che prendano piede pratiche di ristrutturazione/adattamento degli appartamenti esistenti, affinché siano messi in condizione di essere sicuri e confortevoli quando i loro inquilini raggiungeranno gli 80-85-90 anni. E anche che la tecnologia faccia del suo per rendere tutto questo possibile, con la domotica e l’elettronica.

L’Italia è un paese dalla forte tradizione di cura degli anziani in famiglia, ma ciò sarà sempre meno possibile e probabile in futuro. I mutamenti della società e la globalizzazione hanno richiamato i lavoratori verso le città, allontanandoli dal proprio nucleo familiare di origine, e sono sempre di più le famiglie nelle quali entrambi i coniugi lavorano, per necessità o per scelta. Inoltre, la bassissima natalità del nostro paese vedrà in prospettiva molti anziani vivere soli o con il sostegno di un solo figlio, dove in passato erano magari due o tre a condividere la cura dei genitori anziani.

Questa intervista a Nicola Palmarini, direttore dell’ UK National Innovation Centre for Ageing di New Castle, lo raggiunge a Boston dove “sconta” la sua quarantena insieme con la famiglia. Per la sua esperienza sui temi dell’invecchiamento della popolazione e per la sua vita a cavallo tra USA, Inghilterra e Italia, gli chiediamo di aiutarci a farci un’idea sul tema dell’aging in place e del perché non venga promosso da noi.

Il riferimento di Nicola Palmarini è a strutture per residenti senior che non hanno nulla di medicale, ovvero non rispondono ad esigenze sanitarie, ma soddisfano piuttosto ambizioni di socialità e intrattenimento.

Questi condomini offrono la possibilità di comprare o affittare un appartamento privato, in genere un bilocale o un trilocale, disegnato con accorgimenti tali da agevolare la vita domestica di persone in là negli anni, con possibilità di usufruire di una serie di servizi comuni che vanno dalle aree verdi alla piscina, la palestra, la sala multimediale, ristorante e bar, quando non addirittura educazione, nel senso di cultura, con ore di approfondimento su discipline a propria scelta, e la presenza costante di personale per ogni evenienza.

Spesso sorgono nel pieno centro cittadino, per dare la possibilità ai condomini di sbrigare le faccende quotidiane – visite mediche, ufficio postale, banca, spesa – senza doversi allontanare troppo, magari senza dover prendere le macchina.

Strutture che possono essere di lusso oppure accessibili a persone con risorse economiche nella media, disegnando così un ampio mercato per tutti i gusti, sviluppato nel nord Europa, USA, Inghilterra e anche in Francia. Poco o per nulla in Italia, salvo alcuni nuove aperture come quella di Domitys a Bergamo (vedi fine articolo).

Perché tutto questo accade in Inghilterra e in altri paesi anglosassoni, ma in Italia, uno dei paesi più vecchi al mondo, no? Secondo Palmarini una delle ragioni è la tradizione di assistenza pubblica tipica del mondo aglosassone, non intesa come sanità – tema sul quale, almeno fino a prima del Covid 19, pensavamo che l’Italia non avesse nulla da invidiare, assistendo gratuitamente i propri cittadini residenti a prescindere da redditi ed eventuali assicurazioni – ma intesa piuttosto come cura, care, cosa che in Italia è più nelle mani di volontariato e organizzazioni no profit che dello Stato in sé. In inglese, non a caso, sanità si traduce con healthcare, che è un binomio di due concetti distinti, health e care.

In tutto questo, dice Palmarini, gioca un ruolo importante la tecnologia, non tanto in termini di telemedicina, quanto di telecare, assistenza e cure, resa possibila da un sistema di monitoraggio a distanza, soprattutto nelle aree rurali. In questo fin dalla fine degli anni 90 la Scozia, per esempio, è avanti anni luce.

L’aging in place funziona se abbiamo sistemi di conoscenza dello stato dell’anziano a casa, altrimenti si può tradurre in maggiore isolamento e solitudine, con forti ricadute sulla salute della persona.

Per fortuna negli ultimi decenni c’è stata un’evoluzione anche della tecnologia. Le tecniche di machine learning permettono, adesso, di cominciare a interpretare le informazioni che arrivano da una casa in modo logico e intelligente. Vuol dire che le macchine possono apprendere le routine di una persona, costruire intorno a quelle routine delle logiche interpretative, e dare pertanto significato alle deviazioni dalla norma con logiche predittive. Fino ad arrivare a uno scenario non molto lontano in cui si assisterà al passaggio dalla predittività alla proattività, cioè la capacità di prevenire eventi negativi. Un salto quantico dai vecchi bottoni salvavita che funzionavano in base a una logica azione-reazione.

Tornando al tema della nostra chiacchierata, chiediamo a Nicola Palmarini quali altre soluzioni residenziali per anziani si stiano prospettando negli USA o in Inghilterra per agevolare l’aging in place, a partire dalla necessità evidente, seppur per nulla riconosciuta in Italia, di adattare le case private alla vita domestica di persone di 80 o 90 anni.

Questo vuol dire assumere il fatto che la caratteristica dominante di questo secolo sarà una forte presenza di anziani e una longevità del tutto inedita, il che comporta aspetti sociali, sanitari e umani che non si possono affrontare con le stesse logiche di quando gli anziani erano considerati un aspetto marginale della società. Inoltre, l’emergenza della pandemia che ha messo in ginocchio le economie mondiali e la residenzialità di un gruppo di popolazione in continuo aumento, i Longennials, potrebbe essere lo spunto per dare slancio e ripartenza a molti sistemi paese. Ma sono richiesti visione, coraggio, investimenti e molto pensiero laterale.


DOMITYS APRE IL FILONE DEL COHOUSING RESIDENZIALE PER SENIOR ANCHE IN ITALIA. MA NIENTE CHE SOMIGLI ALLE SOLITE RESIDENZE PER ANZIANI

Come è evidente dalla chiacchierata con Nicola Palmarini, la longevità eccezionale di questo secolo impone una pianificazione della propria terza e quarta età, anche per quanto riguarda la vita di tutti i giorni. Per fortuna, le condizioni fisiche con le quali si raggiunge la vecchiaia sono spesso tali da non richiedere la permanenza in strutture specializzate nell’assistenza agli anziani e sempre più spesso le coppie arrivano a tarda età insieme. Ma a 75/80/85 anni la vecchia casa di famiglia potrebbe risultare inadeguata per dimensioni, costi di manutenzione, lontananza dai propri cari o dal centro dei propri interessi, persino per la gravosità della vita domestica in ambienti scelti, arredati e corredati 30 o 40 anni prima.

Qui interviene quello che nei paesi anglosassoni si chiama downsizing, ovvero la decisione di lasciare, affittare o vendere la propria casa e traferirsi in un appartamento più piccolo e più vivibile quando l’età avanzata limita la mobilità o l’autonomia e espone il fianco alla solitudine.

Negli USA, in alcuni paesi del nord Europa ma anche e particolarmente in Francia, esistono già condomini o residenze protette nelle quali è possibile coniugare la privacy di un appartamento privato – in acquisto o in locazione, generalmente di piccole dimensioni ma pensato per agevolare la vita domestica di persone in là negli anni – con socialità e assistenza di personale presente in loco 24 ore su 24 tutti i giorni della settimana.

In comune le aree verdi e una serie di strutture di svago, fitness e vita di comunità come piscina, palestra, sala multimediale, ristorante e bar dove è possibile incontrarsi e, a propria scelta, cenare o pranzare. E’ persino possibile scegliere di farsi portare a casa la cena, regolarmente o in occasioni particolari, magari con i propri famigliari quando vengono in visita.

Domitys, parte del gruppo Aegide, ha più di 100 residenze non medicali prevalentemente in Francia, ma anche Belgio e, ora, Italia nella città di Bergamo, ma già stanno progettandone un paio a Milano. Il concetto di co-housing firmato Domitys è molto diverso dalle residenze per anziani cui siamo abituati nel nostro paese.

Le residenze Domitys sorgono in genere nel centro cittadino in modo da consentire ai propri residenti di spostarsi a piedi o con mezzi pubblici per sbrigare le commissioni quotidiane come l’ufficio postale, la banca, la spesa o lo shopping, ma anche teatro e cinema.

Una serie di pacchetti per tutte le tasche includono servizi a la carte e le attività sociali, sportive, artistiche e culturali, nonché le gite fuori sede come periodiche visite a musei, teatri o anche più prosaicamente all’Ikea. Videocitofono e reception 24 su 24 garantiscono privacy e protezione. E se si ha voglia di una vacanza, Domitys propone anche soggiorni in altre residenze del gruppo.

Nesterly è una piattaforma come lo sono booking o airbnb che ha coniugato le esigenze residenziali di due generazioni diverse: i giovani che non hanno soldi e vorrebbero soggiornare magari in una città come Boston a un prezzo ragionevole, gli anziani che vivono soli e hanno la la possibilità di affittare una camera della propria casa ma temono le persone sconosciute. La piattaforma garantisce la “qualità” dell’ospite, il quale, inoltre, in cambio di uno sconto sulla tariffa, può contribuire con lavoretti domestici, servizi o altro.

Emanuela Notari
Emanuela Notarihttps://www.activelongevity.eu
RESPONSABILE EDITORIALE E RELAZIONI INTERNAZIONALI Dopo 20 anni di esperienza in pubblicità e comunicazione terminati in posizioni apicali in un’importante agenzia multinazionale statunitense e una successiva parentesi imprenditoriale nell’ospitalità turistica, Emanuela ha ripreso l’antica passione per la scrittura, già espressa più di 30 anni fa in un’attività di pubblicista free lance. Divide ora il suo tempo tra la nascente attività di A.L.I., per la quale cura in particolare le casistiche internazionali di longevity economy e altre collaborazioni editoriali.

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